Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono Di quei sospiri ond'io nudriva 'l core In sul mio primo giovenile errore, Quand'era in parte altr'uom da quel ch' i' sono, Del vario stile in ch'io piango e ragiono Fra le vane speranze e 'l van dolore, Ove sia chi per prova intenda amore, Spero trovar pieta, non che perdono. Ma ben veggio or si come al popol tutto Favola fui gran tempo, onde sovente Di me medesmo meco mi vergogno; E del mio vaneggiar vergogna e 'l frutto, E 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente Che quanto piace al mondo e breve sogno.
Per fare una leggiadra sua vendetta, E punire in un di ben mille offese, Celatamente Amor l'arco riprese, Come uom ch'a nocer luogo e tempo aspetta Era la mia virtute al cor ristretta Per far ivi e ne gli occhi sue difese, Quando 'l colpo mortal lá giú iscese, Ove solea spuntarsi ogni saetta. Pero, turbata nel primiero assalto, Non ebbe tanto né vigor né spazio Che potesse al bisogno prender l'arme, O vero al poggio faticoso et alto Ritrarmi accortamente da lo strazio, Del quale oggi vorrebbe, e non pò, aitarme.
La gola e 'l sonno e l'oziose piume Hanno del mondo ogni vertú sbandita, Ond'e dal corso suo quasi smarrita Nostra natura vinta dal costume; Et è sí spento ogni benigno lume Del ciel, per cui s'informa umana vita, Che per cosa mirabile s'addita Chi vòl far d'Elicona nascer fiume. Qual vaghezza di lauro? qual di mirto? —Povera e nuda vai, Filosofia— Dice la turba al vil guadagno intesa. Pochi compagni avrai per l'altra via; Non lassar la magnanima tua impresa.
A pie' de' colli ove la bella vesta Prese de le terrene membra pria La donna che colui ch'a te n'envia Spesso dal sonno lagrimando desta, Libere in pace passavam per questa Vita mortal, ch'ogni animal desia, Senza sospetto di trovar fra via Cosa ch'al nostr'andar fosse molesta. Ma del misero stato ove noi semo Condotte da la vita altra serena, Un sol conforto, e de la morte, avemo: Che vendetta è di lui ch'a ciò ne mena, Lo qual in forza altrui, presso a l'estremo, Riman legato con maggior catena
Se la mia vita da l'aspro tormento Si può tanto schermire, e da gli affanni, Ch'i' veggia per vertú de gli ultimi anni, Donna, de' be' vostr'occhi il lume spento, E i cape' d'oro fin farsi d'argento, E lassar le ghirlande e i verdi panni, E 'i viso scolorir, che ne' miei danni A llamentar mi fa pauroso e lento, Pur mi dará tanta baldanza Amore, Ch'i' vi discovrirò de' miei martiri Qua' sono stati gli anni e i giorni e l'ore; E se 'l tempo è contrario a i be' desiri, Non fia ch'almen non giunga al mio dolore Alcun soccorso di tardi sospiri.
Io mi rivolgo in dietro a ciascun passo Col corpo stanco ch'a gran pena porto, E prendo allor del vostr'aere conforto Che 'l fa gir oltra, dicendo: "Oimè lasso!" Poi ripensando al dolce ben ch'io lasso, Al camin lungo et al mio viver corto, Fermo le piante shigottito smorto, E gli occhi in terra lagrimando abasso, Talor m'assale in mezzo a' tristi pianti Un dubbio: come posson queste membra Da lo spirito lor viver lontane? Ma rispondemi Amor: "Non ti rimembra Che questo e privilegio de gli amanti, Sciolti da tutte qualitati umane?"
Pióvommi amare lagrime dal viso Con un vento angoscioso di sospiri, Quando in voi adiven che gli occhi giri, Per cui sola dal mondo i' son diviso. Vero è che 'l dolce mansueto riso Pur acqueta gli ardenti miei desiri E mi sottragge al foco de' martíri, Mentr'io son a mirarvi intento e fiso; Ma gli spiriti miei s'aghiaccian poi Ch'i' veggio, al departir, gli atti soavi Torcer da me le mie fatali stelle; Largata al fin co l'amorose chiavi L'anirna esce del cor per seguir voi, E con molto pensiero indi si svelle.
Son animali al mondo de sí altèra Vista che 'n contr'al sol pur si difende; Altri, però che '1 gran lume gli offende, Non escon fuor se non verso la sera; Et altri, col desio folle che spera Gioir forse nel foco, perché splende, Provan l'altra vertú, quella che 'ncende. Lasso!, el mio loco è 'n questa ultima schera; Ch'i' non son forte ad aspettar la luce Di questa donna, e non so fare schermi Di luoghi tenebrosi o d'ore tarde. Però con gli occhi lagrimosi e 'nfermi Mio destiíno a vederla mi conduce; E so ben ch'i' vo dietro a quel che m'arde.
Vergognando talor ch'ancor si taccia, Donna, per me vostra bellezza in rima, Ricorro al tempo ch'i' vi vidi prima, Tal che null'altra fia mai che mi piaccia. Ma trovo peso non da le mie braccia, Né ovra da polir colla mia lima; Però l'ingegno, che sua forza estima, Ne l'operazion tutto s'agghiaccia. Piú volte giá per dir le labbra apersi; Poi rimase la voce in mezzo 'l petto. Ma qual sòn poría mai salir tant'alto? Piú volte incominciai di scriver versi; Ma la penna e la mano e l'intelletto Rimaser vinti nel primier assalto.
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